Le rose senza spine (gli ibridi del nostro titolo, ndr) impazzano. Sono belle, sono romantiche e sono sicure. Cioè non pungono le dita. La cultura della sicurezza nel nostro Paese finisce qui. Stiamo esagerando? Forse, ma permetteteci qualche considerazione in merito.
Le macchine si vendono per le prestazioni, la potenza, il risparmio sui consumi. Ma se poniamo l’accento su aspetti come la sicurezza, il silenzio è imbarazzante.

Standard construction safety equipment on wooden table. top view
Partiamo dai numeri della non-sicurezza in generale
Nel 2020 gli incidenti stradali in Italia sono stati 118.298, hanno causato 2.395 morti e 159.249 feriti. I dati ISTAT (https://www.istat.it/it/archivio/259825) benché in deciso calo rispetto al 2019, anche a causa delle pandemia che ha provocato autentici deserti stradali per molti mesi, diventano impressionanti quando si parla di infortuni sul lavoro. Sempre l’ISTAT (https://www.istat.it/it/archivio/264053) ci fa sapere che “nel 2020, sono 366mila le persone che dichiarano di aver subito – nei dodici mesi precedenti l’intervista – almeno un infortunio sul luogo di lavoro”.
Ma oltre le statistiche, quel che appare evidente è una pressoché totale mancanza di cultura della sicurezza. In un Paese in cui, tanto per fare un esempio, le cinture di sicurezza sono state accettate con estrema riluttanza e dopo lo spauracchio di “sonore legnate economiche” se ti beccavano a guidare senza. E che, molto più recentemente, ha “regalato” monopattini elettrici che sfrecciano nelle strade svincolati da qualunque regola relativa sia al Codice della Strada che della sicurezza (e, ammettiamolo, quelli che girano in monopattino con caschetto e paragomiti messi di propria sponte sono delle vere mosche bianche), parlare di questi argomenti associati alle nostre macchine è non solo dannatamente noioso (“si, ma che due BIIP, ancora questa menata della sicurezza, dei DPI ingombranti e scomodi, ecc”: dai, ammettiamolo, il 70% degli operatori del nostro settore magari non lo dice, ma lo pensa), ma anche inutile.
Perché?
Semplice: perché la sicurezza non vende! Ciò che vende sono le prestazioni, la potenza, i costi. Nessuno preferisce una macchina a un’altra perché più sicura.
Il marketing legato al movimento terra, al sollevamento e alla perforazione è un esercizio di machismo (più alto, più potente, più performante), oppure di virtuosismo eco-sostenibile (o ritenuto tale, se non andiamo a vedere da vicino da dove arriva l’energia elettrica e come viene prodotta… ma questa è un’altra storia). La sicurezza, quindi, è sempre dimenticata. Infatti, pur girando per cantieri e cave da oltre vent’anni, nessuna impresa ha mai detto ai nostri microfoni: “abbiamo acquistato/noleggiato questa macchina perché più sicura”.
Poi però ci indigniamo e ci stracciamo le vesti e cerchiamo colpevoli più o meno realistici per le cosiddette “morti bianche”. Che poi, altrettanto velocemente, diventano numeri e cadono nel dimenticatoio.
La vera verità è che se ci sofferma a pensare a qualunque settore, così come a qualunque aspetto della vita quotidiana, gli italiani sono un popolo che della cosiddetta cultura della sicurezza non ne sanno una cippa, o la allontanano dalla testa come si allontana un insetto fastidioso che ci ronza intorno: la si spiaccica dietro mille altre considerazioni più divertenti, più utili o, semplicemente non ci si ragiona neanche sopra. Punto.
Quindi cosa possiamo fare? Due strade: andare avanti così, oppure iniziare a pungolare imprese e costruttori su questi temi.
Noi scegliamo la seconda, noiosissima, strada. E, come diceva Dario Fo in uno dei suoi celebri scheck di Mistero Buffo: andiamo avanti “a rebaton cativo”!